Non sono impazzita, ma leggendo un articolo molto interessante su Clickz, di Mark Grehan, mi piacerebbe aprire un dibattito anche qui su wmtools. Nel post intitolato “When Community is Search” l’autore si sofferma a riflettere su alcuni spunti che potrebbero far pensare tutti noi.
Parte dal passato, dal 1999 (in Italia un po più tardi) quando i SEO americani cominciarono ad affermare: content is king. E sulla base di questo assunto decisero di dedicarsi anima e corpo a creare siti fatti di testo, con qualche immagine (leggera) e forse un paio di gif animate. Le web agency investivano in copywriter per scrivere contenuti google oriented. E l’obiettivo di tutti era quello di dare in pasto a Google tonnellate di buon testo.
Era l’epoca dei modem a 56k, dial-up, e tutti eravamo convinti che quella fosse la massima velocità disponibile.
Poi nel 2000 Andrew Odlyzko, di AT&T Labs Research, scrisse “Content Is Not King” consigliando di spendere più tempo a sviluppare la connettività, piuttosto che contenuti. La killer application a quel tempo era l’e-mail.
A dire il vero dipende molto dal significato della parola “content”: cosa si può definire contenuto? Un testo?
Oggi lo scenario sta cambiando. Il focus si sta spostando dalla produzione di informazioni alla user experience e ai contributi dell’utente finale. Chi ha capito questo andamento (e ne sta traendo vantaggio) sa che oggi si parla di community e di customer experience. Non possiamo più limitarci a fornire un testo nudo e crudo pensando che questo basti ai nostri clienti.
Anche le modalità di ricerca stanno cambiando. Da tempo ci siamo sentiti dire dai seo che per raggiungere i nostri clienti è necessario che il nostro sito sia trovato dai motori di ricerca. E questo sicuramente è vero.
Ma ora i nostri clienti sono ovunque: su Facebook, su MySpace, su Linkedin, su Twitter. Migliaia e migliaia di community sono nate e cresciute sul web. Spesso anche intorno a un blog, un forum, si radunano lettori che frequentano assiduamente e dal quale “dipendono” per i consigli.
Il “problema” infatti è che sempre più i nostri potenziali clienti entrano nella community di riferimento e pongono lì le loro domande: dalla richiesta del ristorante romantico dove portare a cena la propria ragazza, al telefonino da comprare, ai consigli su viaggi, lavori, investimenti, acquisti.
Una ricerca di Forrester Research di Giugno 2008 evidenzia che metà degli adulti e 2/3 dei giovani parlano dei propri interessi su prodotti da acquistare su siti di social network.
Se un cliente ha bisogno di un’informazione su un ristorante non andrà sul sito ufficiale, ma nel social network più adatto, se è indeciso sul telefono da acquistare non visiterà (soltanto) il sito ufficiale del brand, ma sonderà il terreno fra gli amici “virtuali” di qualche community che frequenta o si soffermerà su qualche sito di recensioni e commenti.
E sempre più gli utenti web non cercano solo le informazioni, ma anche di essere ispirati, divertiti, intrattenuti, connessi con altri.
Se qualcuno ha mai usato l’applicazione dell’iPhone OpenTable sa che quando si arriva in una città nuova, basta lanciare l’applicazione e dopo che il telefono ha localizzato dove si trova la persona, propone una lista di ristoranti nei paraggi. Questa è una rivoluzione.
Mark Grehan termina il suo post chiedendosi: dobbiamo focalizzarci solo sui contenuti oppure parlare di audience, di engagement e di user experience?