Questa serie di articoli (saranno 5) è ripresa da quella che ho scritto nel 1992 per DORLAND NEWS, l’house organ di DORLAND-AYER, la più grossa agenzia per la quale abbia lavorato, house organ di cui avrei assunto la gestione operativa alcuni mesi più tardi.
Lo scopo non è tanto quello di ripercorrere le tappe storiche della comunicazione di impresa, quanto piuttosto di capire il perché e il per come di una evoluzione a valanga.
In qualsiasi azione di marketing è la comunicazione d’impresa che permette, se gli obiettivi e il messaggio sono definiti correttamente, di raggiungere il target prestabilito e di ottenere il riscontro desiderato.
In ogni caso, la comunicazione d’impresa stessa può assumere un numero non indifferente di aspetti, a seconda degli obiettivi stessi. Relazioni pubbliche, promozioni e, finalmente, la tanto bistrattata pubblicità che, con il passare degli anni e con l’evolversi dei mercati e delle tecniche di comunicazione, si è evoluta anch’essa, passando da semplice insieme ripetuto di annunci stampa o di affissioni, in cui dominava l’opera dei copywriter e di illustratori non ancora definiti “Art Director”, alla comunicazione multimediale, integrata, scientifica e mirata dei giorni nostri.
In realtà, attualmente, parlando di advertising, si tende generalmente a trascurarne il lato più tecnico, legato al marketing, alle ricerche di mercato che servono a definire le strategie e ai copy-test, che permettono di verificare la giustezza dei messaggi, prediligendo la creatività, forse più d’effetto, ma totalmente sterile al fine del raggiungimento degli obiettivi se non è, a priori, l’espressione di una strategia ben calibrata. E tali strategie si sono anch’esse mutate con l’evolversi delle tecniche distributive, dei media e delle tipologie di consumo. Ecco, in breve, la storia di tale sviluppo.
La prima generazione: l’informazione pubblicitaria
La pubblicità come noi la conosciamo, allora definita con il termine francese di “réclame”, è nata nel secolo scorso negli Stati Uniti, per la precisione a Philadelphia, dove Volney B. Palmer nel 1841 aprì la prima concessionaria, che nel 1869 verrà rilevata da Francis Wayland Ayer, che cambiò il nome dell’agenzia in N.W. Ayer & Son e che, per primo, introdusse la provvigione del 15% sul fatturato. Curiosamente si tratta della stessa agenzia Ayer, tuttora esistente, nella quale lavoravo io dopo l’acquisto da parte della Dorland (solo a per l’Italia)
Come spesso avviene nel nostro settore,è in America, con Frederick Winslow Taylor, vengono poste le premesse alla produzione di massa, e le neonate industrie si sostituiscono alle manifatture, con le prime catene di montaggio e con i “piazzisti” destinati a collocare la produzione su un territorio immenso e povero di mezzi di comunicazione, presso i dettaglianti o, spesso, direttamente al pubblico, con azioni di vendita “porta a porta”. È una forma di vendita “dura”, a volte ingenua, ma molto efficace per i mercati dell’epoca, molto diversi da quelli saturi dei nostri giorni, e necessaria per penetrare in settori vergini, all’inizio facilmente conquistabili con due soli fattori: la presenza del prodotti nei punti vendita, e il prezzo.
Ma presto di fronte al dilagare della concorrenza ciò non è più sufficiente e si ricorre agli unici media esistenti all’epoca: la stampa, di valore limitato quanto limitata era la quantità di lettori in un epoca di semi-analfabetismo e di scarsa conoscenza delle lingue nazionali – perché nella comunicazione parlata si usavano soprattutto i dialetti o, in America, la lingua del paese d’origine – e le affissioni, che presentavano modelli di consumo all’avanguardia per i costumi dell’epoca, con immagini d’effetto e poche espressioni facili da memorizzare.
Ma l’industrializzazione, unitamente all’aumentato potere d’acquisto delle fasce basse dei consumatori e al rapido miglioramento dei mezzi di comunicazione (telegrafo, ferrovie e i primi autoveicoli) permettono progressivamente una distribuzione capillare dei prodotti e pongono le premesse alla nascita della “marca”.
L’industrializzazione, intanto, diventa un concetto esportabile: non esiste nazione che si voglia definire moderna, in cui la classe dirigente non abbia costruito fabbriche e linee di produzione basate sul modello americano. Il problema però, in Europa, è la forte disparità di potere d’acquisto tra la borghesia e le classi popolari. I prodotti industriali sono, per lo più destinati alla prima, che ne fa uno status symbol, mentre le seconde consumano ancora in maniera tradizionale, permettendo ancora a lungo la sopravvivenza dell’artigianato tradizionale.
continua..