Clof, clop, cloch, cloffete, cloppete,clocchette, chchch… È giù, nel cortile, la povera fontana malata; che spasimo!
Un verso che più che spiegare suggerisce, quasi un rumore di un ingranaggio primordiale che mette in moto un’emozione, una partecipazione. Tutto il contrario dell’evoluzione di Google. Da semplice suggeritore il motore vuole diventare attore: una bella ambizione teatrale, uscire dalla buca e proferire parola sulla scena.
Da bisbiglio ad urlo: questa instant search lascia veramente poco spazio all’immaginazione. Con effetti psichedelici emana messaggi subliminali che colpiscono l’inconscio, e non si tratta di uno scherzo disneyano, con fotogrammi diabolici inseriti tra le avventure di Bianca e Bernie: l’instant search, per ora riservata agli account Google, potrebbe divenire la prassi.
La povera fontana malata, miracolosamente guarita, scatenerà il suo zampillo magico e spruzzerà i suoi risultati a pioggia. Lo zapping come legge visiva della query. In difficoltà con i contenuti umani, e con tutto quello che ha a che fare con il social, Google sembra aver scelto di dare più potenza ai suoi criteri interni, alla sua interpretazione algoritmica.
Risparmieremo tempo, ok, ma risparmieremo anche il pensiero e pensare poco, alla lunga, stronca più di un buco nel cervello. Rivoglio la possibilità di cercare, la fissità di un risultato sbagliato, un suono disarticolato da potere interpretare o mettere a tacere. Limitare la possibilità di ricerca con tecniche tra lo psichedelico e l’ipnotico non è una cattiva idea a livello di marketing, ma le idee di marketing non dovrebbero calpestare i valori, in primo luogo la persona a cui si rivolgono.
Tutta questa esattezza istantanea, questa anticipazione di intenzione, non fa sentire niente, è algida come un cubetto di ghiaccio. Ridatemi la lentezza della ricerca, l’istante lungo e meditato, il singhiozzante timbro della fontana malata.